Ci sono a mio avviso 3 questioni che dobbiamo tenere presente nella nostra azione didattica e quindi nella nostra azione valutativa, che è parte integrante di quella didattica.
Innanzitutto dobbiamo rafforzare la relazione informale con gli alunni: il voto numerico è soltanto una misurazione estemporanea, un atto formale che sancisce in quel momento qual è il grado di preparazione, o più semplicemente rispetto a quella prova come ha reagito l’alunno. L’azione valutativa conclusa esclusivamente con un voto numerico è sterile: il punto non è verificare in quel dato momento quale era e quale non era la conoscenza di quell’alunno, ma portare l’alunno stesso (e a volte anche l’insegnante) a ragionare sul modo con cui costruisce le sue conoscenze, rafforza le sue abilità. Ci sono momenti di ascolto e di dialogo che per gli studenti e per gli insegnanti diventano fondamentali, perché determinano la crescita di una persona, qualcosa che va oltre il numero.
Secondariamente bisogna uscire dalla logica dei programmi: dal 2011 esistono le indicazioni nazionali ed i profili di uscita dei singoli alunni che definiscono un traguardo di competenze e conoscenze. Non c’è l’obbligo di utilizzare questa o quella strada, ma c’è la necessità invece di puntellare il cammino attraverso tappe certe e solide, pertanto piuttosto che riempire la testa di nozioni, che poi vogliamo sforzarci di misurare, è necessario costruire un metodo, lavorare su un atteggiamento. Insomma uscire dalla logica competitiva della produttività dell’azione di insegnamento per entrare in una visione di condivisione e passaggio di conoscenze per la costruzione di competenze. Non possiamo determinarlo aprioristicamente con dei tempi, dobbiamo dare tempo a tutti gli attori di una valutazione (docenti ed insegnanti) il tempo necessario, giusto ed adeguato per agire questi passaggi di conoscenze e competenze. E soprattutto bisogna anche uscire fuori dagli schemi e dalle griglie geometriche che fanno della didattica, e della valutazione, una azione lineare: è invece un’azione tridimensionale, fatta di tempo, stimoli e contenuti.
Infine la valutazione deve privilegiare l’osservazione: se la relazione informale è un momento di dialogo ed ascolto, l’osservazione quanto più esterna possibile, quanto più formale (ma con indicatori differenti da quelli utilizzati per gli apprendimenti) e informale allo stesso tempo possibile (in contesti non scolastici in senso stretto: durante la lezione, ma anche durante tutti i tempi della vita sociale della scuola), permette di mettere a fuoco l’autonomia dello studente, ci permette di verificare in modo formale o meno come agisce nello spazio dell’apprendimento.
Mi rendo conto che sono tre azioni che ci portano fuori dal concetto di “capitale umano” che va tanto di moda, ma è altrettanto importante fare della attività didattica un percorso di cui la valutazione rappresenta una bussola utile sia per l’alunno sia per il docente, per un’analisi, anche autovalutativa, sempre più completa.
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